venerdì 22 giugno 2012

Provando "Il proprietario". Dialogo di Roberto Espina. Burattini di Paolo Sette.


Il burattino della Morte. Da Wolf Erlbruch.

Il Premio Ravasio a Paolo Sette
Burattini e un tocco di poesia
L’artista milanese ha presentato a Bonate Sotto
«L’anatra e la morte» di Wolf Erlbruch.
Storia forte e insolita, portata in scena con delicata leggerezza:
il pubblico applaude.

PIER GIORGIO NOSARI



La pioggia rovina la festa, nel cui contesto Bonate Sotto ospita il Premio Benedetto Ravasio.
Ma non ferma la 14ª edizione del Premio, che la Fondazione Ravasio assegna dal 1998 a una compagnia o artista giovane: così sabato sera il teatro dell’oratorio di Bonate ha presentato al pubblico Paolo Sette, trentenne milanese di belle speranze e discreta realtà, con il suo L’anatra e la morte, tratto dal libro illustrato per l’infanzia L’anatra, la morte e il tulipano di Wolf Erlbruch.
È una bella scommessa, per più di un motivo. Ed è un buon segno che il pubblico l’abbia accettata come tale.
Il bello dei giovani sta nei rischi che sono disposti a prendersi, e nelle infrazioni al galateo che sono pronti a concedersi. Nella sua poetica delicatezza, L’anatra e la morte si permette di ignorare un bel po’ delle convenienze teatrali degli ultimi anni: si permette di parlare di morte e cerca di farlo per un pubblico di bambini, con tutta l’attenzione del caso ma senza le tante rimozioni e i falsi pudori dei nostri anni; anziché attingere alle solite fiabe, segue la traccia di un disegnatore e scrittore per l’infanzia come Erlbruch, con ciò dimostrando buon gusto e curiosità per i terreni contigui dell’illustrazione; confeziona uno spettacolo da poco più di mezz’ora, un formato poco vendibile sul mercato; sceglie un ritmo e un andamento tutto pause e silenzi, lontanissimi dagli scatenamenti consueti della «piazza». Il risultato è quanto meno promettente.
Questa è una vicenda di struggente poesia: è la storia – che Erlbruch immagina con evidenti riferimenti alla medievale Danza della Morte – di un’anatra e del suo incontro con la propria morte.
Meglio: questa è la storia di Anatra e di come questa riesca ad accettare la presenza di Morte, a giocarci insieme e persino a stringere un’amicizia profonda, ancorché fragile e malinconica.
L’allegoria della vita è trasparente, e così la lezione esistenziale che sottintende: senza grandi discorsi.
Sette tratta questa sua materia in modo asciutto, senz’altra retorica che uno studiato uso della pausa e del silenzio, come equivalente del bianco della pagina scritta o illustrata.
Erlbruch ha più successo nell’evocare i molteplici livelli della narrazione: la favola morale con animali, l’allegorismo di origine medievale, la sensibilità esistenzialista moderna. Ma Sette riesce comunque a condurre fino in fondo il suo spettacolo, che allude a temi come il destino, un’umanità definita dalla fragilità, la fondamentale ironia dell’esistenza.
È importante che il teatro di figura e il teatro-ragazzi si permettano ancora di toccare e trattare soggetti, temi e motivi
di questo genere. Negli ultimi anni assistiamo a un perbenismo di ritorno, edulcorato e cieco, che pretenderebbe di isolare l’infanzia dalla realtà: e pazienza, poi, se la realtà del nostro Paese è tutto fuorché pensata a misura di bambino. Uno spettacolo e un premio non invertono la tendenza, ma dicono che la guerra non è ancora finita.
L’ECO DI BERGAMO
LUNEDÌ 5 SETTEMBRE 2011
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